
Daniela Bigi è storica dell’arte, critica e curatrice; co-direttrice di «Arte e Critica» e docente di Storia dell’arte contemporanea e Ultime tendenze delle Arti Visive presso ABAPA. Dagli anni ‘90 affianca allo studio delle questioni centrali del dibattito internazionale e all’approfondimento delle pratiche artistiche delle giovani generazioni un’attività che spazia dalla ricerca di natura storica, alla pubblicistica di settore, alla curatela di mostre, programmi di residenza, convegni, workshop presso musei, fondazioni, gallerie e spazi indipendenti.
Tra le attività degli ultimi anni: cura per la Fondazione per l’Arte di Roma il Progetto Mandrione (2014-16), che approfondisce il panorama artistico maturato all’interno degli spazi indipendenti italiani, per poi occuparsi, durante la co-direzione artistica di Palazzo Ziino a Palermo (2016-19) e del #MCCN Castello di Carini (2017-19), delle relazioni tra le pratiche dei giovani artisti siciliani e gli studi recenti sul Mediterraneo. Nel 2018 cura una delle mostre collaterali di Manifesta.12 (personale di Gabriella Ciancimino); nel 2022 si dedica alla ricerca su alcuni aspetti della produzione di Cesare Tacchi, di cui cura una mostra e un catalogo presso Sara Zanin Gallery Z2O (Roma); nel 2023 ricostruisce e inquadra l’attività di Nuvolo nel contesto culturale della Roma degli anni Cinquanta, mentre nel 2022-2024 è tra i curatori presso ABAPA dei progetti seminariali dedicati a William Kentridge, a Richard Deacon, al collettivo indonesiano ruangrupa e al duo Cuoghi Corsello. Nel 2022-2023 è tra i curatori della Quadriennale d’Arte di Roma. Attualmente è membro del collegio di Dottorato di Ricerca Afam “Mediascape. Ricerca e produzioni artistiche transculturali”, oltre che responsabile dell’Osservatorio Arti Visive, del quale nel 2008 è stata tra i membri fondatori.


La lectio dell’artista si concentra sulla sua trentennale pratica artista che ripercorre visioni, segni e immagini di esperienze vissute nel suo passato. Le opere di Flavio Favelli si leggono come un’ autobiografia “collettiva” che si riferisce al denso momento che va dagli anni Settanta agli anni Ottanta L’esperienza individuale si nutre di un immaginario specifico, vasto e complesso fatto di costume, cultura e tendenze, universo che continua ad influenzare il presente con il portato del segno grafico, pittorico, pubblicitario e spaziale. Una poetica archivistica, quella di Favelli, che diventa riconoscibile in lavori che parlano di circostanze, di storia e di un paese globale già prima della globalizzazione.

L’incontro si configura come alto momento di studio e confronto sullo stato attuale della fotografia e dei confini relativiche negli ultimi veloci decenni si sono spostati, mutando il versante del visivo e del fotografico esteso.
Critico d’arte, curatore e saggista, Zanchi è portatore di una riflessione sull’immagine come entità in continua evoluzione,presente e cangiante nelle arti visive contemporanee e nell’incessante flusso di scambio tra “utenti” social con l’addizione del nodo costituito dall’intelligenza artificiale. Tra le pubblicazioni più recenti: Metafotografia 1+2+3 (Skinnerboox, 2019-2021) Arte e gioco (Giunti, 2022), La fotografia come medium estendibile (Postmedia books, 2022). Mauro Zanchi è direttore di BACO – Base Arte Contemporanea Odierna di Bergamo, dal 2011 e insegna storia della fotografia e dell’arte nell’Accademia LABA di Brescia e nel Centro Bauer a Milano, semiotica dell’arte nell’Istituto Europeo del Design (IED) a Torino.
È un fatto quanto mai evidente che ogni epoca è attraversata da questioni “brucianti” e ogni generazione ne sente alcuni particolarmente propri. Le pratiche progettuali attingono dal ventaglio dei discorsi collettivi di culture e sottoculture contemporanee, e ne generano altri. Esse possono avere un ruolo nell’influenzare l’immaginario e il pensiero di una comunità, nell’alimentare e tenere vivi alcuni dibattiti.
Oggi, più che mai, progettist* e artist* sono chiamat* a interrogarsi sull’impatto sociale, culturale e ambientale del proprio lavoro.
L’intento di Times are still burning è di porci domande su come cambia o dovrà cambiare il modo di pensarci all’interno di un ecosistema e di ripensare le nostri abitudini.
Provare a costruire un percorso che ragioni su cosa sta accadendo o provare ad immaginare scenari futuri.
Tentare attraverso la progettazione, la condivisione, la messa in scena della crisi, ad avvicinare una comunità distratta rendendola partecipe.
C’è bisogno di tornare ad una coscienza del design e del ruolo di attante che questo occupa nell’influenzare il comportamento di una società. È viva la necessità di tornare a sentire che possiamo avere questo ruolo attraverso gli oggetti che produciamo e le scelte che facciamo. È importante tornare ad aspetti del design e della pratica artistica meno effimeri e più impegnati.
Non esistono temi prioritari quando tutto è percepito come imminentemente catastrofico o almeno necessario; è, o forse noi la sentiamo tale, l’epoca del crollo: il crollo di un sistema fondato su valori che non ci appartengono più o che non reputiamo sostenibili. Inesorabile il tempo batte le lancette e ogni accadimento sembra rimandare ad un futuro incerto. In equilibrio precario tentiamo di mantenere la rotta, di trovare soluzioni e puntualmente ci ritroviamo a chiederci a che punto siamo.
Sembra sempre non esserci più tempo e questo implica farsi carico di tenere alta l’attenzione, se si vuole mantenere un dibattito serio intorno alle questioni che riteniamo urgenti.
L’agency nelle pratiche fattuali e il potere del progettare
Urge quindi una riflessione che da un lato ci pone come professionist* attent* all’impatto e alle conseguenze del proprio lavoro; dall’altro ci impone, in quanto cittadin*, una riflessione su dove stiamo andando e su cosa possiamo fare.
La progettazione si fa mediatrice e portatrice di un messaggio, recuperando finalmente la sua dimensione etica e funzionale non rispetto a un prodotto ma rispetto ad un ideale e ad un problema.
Times are still burning, 27 settembre 2025 dalle ore 12.00. Accademia di Belle Arti di Catania, via Raimondo Franchetti 5, Catania.
A cura delle docenti Giorgia Di Carlo e Ludovica Privitera in collaborazione con l* dottorand* Federica Bistoletti, Giulio Interlandi, Margherita Malerba.
Progetto grafico e comunicazione social a cura di Federica Bistoletti con il supporto di Gabriel Pisano. Illustrazioni di Giorgia Troìa. Redazione e correzione bozze a cura di Margherita Malerba, Adriana Martucci. Un ringraziamento speciale a Maria Burgio, Giusy Miano, cultrici della materia Packaging per l’editoria. Studenti partecipanti workshop: Simona Gervasi, Gabriele Aliotta, Gabriel Pisano, Davide Rimi, Rita Maria Carrà, Giorgia Troía, Aurora Santina Urzì, Federica Alberio, Mariachiara Lentini, Adriana Martucci. Artefatti in mostra e allestimenti autoprodotti dagli studenti partecipanti al progetto TSB.
Nelle intenzioni della Fondazione e mie, sin dall’inizio era ben chiara una cosa: […] bisognava affrontare l’opera artistica di Fava da una diversa prospettiva. E più studiavo i suoi quadri, le sue incisioni, i suoi disegni, più leggevo la sua letteratura, più ascoltavo le sue trasmissioni radiofoniche, più mi convincevo del fatto che di lui fino ad oggi conoscevamo e piangevamo quasi esclusivamente la figura dell’intellettuale militante contro la mafia. Per ragioni contingenti e oltremodo necessarie, dal 1984 fino ad oggi la sua iconografia e iconologia si era consolidata nel tipo dell’eroe civile, al pari dei martiri che nell’Italia meridionale e nella Sicilia dell’ultimo trentennio del Novecento erano stati sterminati dalle cosche mafiose e dai sistemi politico-affaristici. Una dimensione tragica che ha finito per riflettersi nel codice narrativo usato per dettagliare fino a oggi la sua produzione artistica. Ma Giuseppe Fava era un palinsesto, depositario di moltissimi altri valori che a mio avviso – mi andavo convincendo – attendevano di essere messi nel giusto risalto affinché emergesse in tutta la sua pienezza la figura dell’intellettuale che partecipa da protagonista alla Storia dell’Italia contemporanea. Per fare questo, era a mio avviso necessario riprendere il discorso dal profondo vitalismo che albergava in tutto ciò che egli fece, il grande amore per la vita, per la gente comune, per i paesaggi, per il cibo, per il buon vivere, tutti aspetti che, assieme alla pratica dell’inchiesta e della denuncia, ebbero un posto di grandissimo rilievo nella sua vita e che invadono continuamente la scena.
Questa è la ragione per cui ho costruito la mostra come un dramma tragico secondo il canone greco: con un prologo, un parodo, quattro episodi, tre stasimi, un’invocazione e un esodo. I puristi della tradizione classica storceranno il naso, ma è pur sempre un’interpretazione nel contemporaneo e penso che essa calzi a pennello per fare sintesi di una così complessa vicenda. I raggruppamenti di opere che ho scelto, tuttavia, non corrispondono (almeno questa è l’intenzione) all’oleografia neorealista cui ci eravamo abituati, gravitante tutta intorno alle dicotomie basso-alto, potere agito-potere subito, mafia-denuncia; essi cercano, a loro modo, sentieri narrativi differenti: l’infanzia e i primi interessi per il disegno, la definizione di una precisa maniera espressiva, la centralità delle donne, la passione per la gente comune nello spazio dell’urbe, l’amore per il paesaggio agrario e marinaresco (con il suo cibo, i suoi odori, i suoi sapori), l’eredità culturale che egli ci tramanda. Molte delle opere in mostra sono conosciute e hanno una breve ma significativa fortuna critica ed espositiva; molte altre, per le ragioni pocanzi accennate, sono poco note o del tutto inedite. La combinazione di questi due fattori (la sintassi ‘nuova’ della mostra, la novità di alcune tra le opere esposte, la forma compendiaria che ha assunto il catalogo) vorrebbe contribuire al riposizionamento di Giuseppe Fava nell’alveo dei più grandi intellettuali italiani del secondo dopoguerra.
Vittorio Ugo Vicari
Belpasso si prepara ad ospitare la decima edizione del simposio internazionale di scultura su pietra lavica.
Avrà inizio il 14 settembre lka X edizione del Simposio dedicato a “Antonio Portale” a cura di Vittorio Ugo Vicari / direzione artistica Pierluigi Portale.
I laboratori artistici saranno aperti dalle 08:30 alle 18:30 e dureranno fino al 4 ottobre presso Cava di pietra lavica F.lli Grasso Belpasso (CT), 21 giorni in cui gli artisti partecipanti avranno tempo per esprimere la loro creatività e per realizzare opere uniche, dando ai visitatori la possibilità di vivere il lungo processo creativo.
Tre gli scultori protagonisti di questa decima edizione: Adriano Ciarla (Carrara), Calogero Arcidiacono (Accademia di Belle Arti di Catania), Luigi D’Amico (Accademia di Belle Arti di Catania).
Saranno presenti —
Carlo Caputo, sindaco di Belpasso
Gianni Latino, direttore Accademia di belle arti di Catania
Tony Di Mauro, assessore alla Cultura Comune di Belpasso
Vittorio Ugo Vicari, curatore del X Simposio
Pierluigi Portale, direttore artistico
La cittadinanza è invitata a partecipare.

Leggi tutto: X Simposio — Internazionale di Scultura di Belpasso“Oro dell’dell’Etna”
Pagina 7 di 59